Fiabe di Andersen
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C'era una volta un commerciante, così ricco che avrebbe potuto ricoprire tutta la strada principale e anche un vicolino laterale di monete d'argento, ma naturalmente non lo fece: sapeva come usare il suo denaro; se dava uno scellino, otteneva un tallero; era proprio un commerciante e come tale morì.
Il figlio ereditò tutti i suoi soldi e visse spensierato, andava alle feste ogni notte, costruiva aquiloni con le banconote e lanciava monete d'oro sul lago per farle rimbalzare invece di usare le pietre, perché naturalmente i soldi saltavano meglio; alla fine non gli restarono che quattro scellini, non aveva vestiti al di fuori di un paio di pantofole e una vecchia vestaglia. Ai suoi amici non importò più nulla di lui, dato che non potevano più uscire insieme per le strade; solo uno di loro, che era buono, gli mandò un vecchio baule e gli disse: "Fai i bagagli!". Facile a dirsi! ma egli non aveva nulla con cui fare i bagagli, così si mise lui stesso nel baule.
Era un baule strano. Non appena si premeva la serratura, il baule si sollevava e volava; e infatti si mise a volare attraverso il camino in alto sopra le nuvole, sempre più lontano. Il fondo scricchiolava, e lui temeva che si rompesse, in quel caso avrebbe proprio fatto un bel volo! Il Signore ci protegga! e così arrivò nella terra dei turchi. Nascose il baule nel bosco sotto le foglie secche e se ne andò in città; lì lo poteva fare, perché in Turchia andavano in giro tutti, come lui, con la vestaglia e le pantofole. Così incontrò una balia con un bambinetto. "Ascolta, balia turca!" disse "che cos'è quel grande castello vicino alla città, che ha le finestre così alte?"
"Ci vive la figlia del re!" fu la risposta "è stato predetto che diventerà molto infelice a causa di un fidanzato, e per questo nessuno può andare da lei, se non ci sono anche il re e la regina."
"Grazie!" rispose il figlio del commerciante, e così se ne tornò nel bosco, si mise nel baule, volò sul tetto e poi entrò dalla finestra fino alla principessa.
La principessa era sdraiata sul divano e dormiva, era così graziosa che il figlio del commerciante dovette baciarla;;lei si svegliò e si spaventò molto, ma lui raccontò di essere il dio dei turchi e di essere sceso dall'aria fino a lei, e lei ne fu molto contenta.
Così sedettero uno vicino all'altra, lui le narrò fiabe sui suoi occhi: erano laghi bellissimi e scuri, e i pensieri vi nuotavano come sirene; e poi raccontò della fronte, che era una montagna di neve con meravigliose sale e quadri, e poi le narrò della cicogna che porta i cari bambini.
Erano delle storie bellissime! Allora le chiese di sposarlo e lei subito accettò.
"Ma dovete tornare qui sabato" aggiunse "quando ci saranno da me il re e la regina a prendere il tè. Saranno molto orgogliosi all'idea che io sposerò il dio dei turchi, ma dovete raccontare una bellissima storia, perché a loro piacciono tanto mia mamma vuole che siano classiche e morali, mio padre invece le preferisce divertenti, che facciano ridere."
"Sì, non porterò altro in dono alla sposa che una storia!" rispose il ragazzo, e poi si separarono, ma prima la principessa gli donò una sciabola intarsiata di monete d'oro, che gli fecero proprio comodo.
Volò via, acquistò una nuova vestaglia e sedette nel bosco, pensando a una storia; doveva essere pronta per sabato, e non era facile.
Alla fine la storia fu pronta, e era proprio sabato.
Il re e la regina e tutta la corte lo aspettavano bevendo il tè presso la principessa. Come venne ricevuto bene!
"Volete raccontarci una storia?" chiese la regina "ma che sia significativa e istruttiva!"
"Ma che faccia anche ridere!" aggiunse il re.
"Certamente" rispose lui, e cominciò a raccontare. Ascoltiamola anche noi adesso.
"C'era una volta un mazzetto di fiammiferi, che erano molto fieri di appartenere a una nobile famiglia, il loro albero di origine, il grande pino, di cui erano solo un piccolissimo rametto, era stato un antico e maestoso albero del bosco. Ora i fiammiferi si trovavano su una mensola tra un acciarino e una vecchia pentola di ferro, e per loro si misero a raccontare della loro infanzia. "Al tempo dei nostri anni più verdi," dicevano "ci trovavamo proprio su un albero verde! Ogni mattina e ogni sera avevamo del tè di diamanti, che era la rugiada, e durante il giorno avevamo i raggi del sole, quando il sole splendeva, e tutti gli uccellini ci raccontavano delle storie. Sapevamo di essere anche ricchi, perché gli altri alberi erano vestiti solo d'estate, mentre la nostra famiglia poteva permettersi vestiti verdi sia d'estate che d'inverno. Poi giunsero dei boscaioli che fecero una gran rivoluzione, e la nostra famiglia venne dispersa. Il tronco principale diventò un albero maestoso in una nave bellissima che poteva navigare intorno al mondo, se lo voleva, gli altri rami andarono in luoghi diversi, e noi abbiamo avuto l'incarico di accendere la luce per la gente vile; per questo noi, che siamo gente aristocratica, siamo arrivati fin qui in cucina."
""A me invece è capitato in un altro modo" disse la pentola di ferro vicino alla quale si trovavano i fiammiferi. "Da quando sono nata sono stata bollita e raschiata moltissime volte! Devo occuparmi di cose concrete e, a dire il vero, sono io la più importante della casa. La mia unica gioia è, dopo il pranzo, stare qui sulla mensola ben pulita a chiacchierare con i compagni; ma noi viviamo sempre in casa, a parte il secchio dell'acqua che ogni tanto è portato nel cortile. Il nostro unico informatore è la borsa della spesa, ma quella si agita sempre nel parlare del governo e del popolo; addirittura l'altro giorno c'era una vecchia pentola che per lo spavento è caduta e s'è rotta! Quella è una liberale, ve lo dico io!"
""Tu parli troppo" esclamò l'acciarino e batté sulla pietra focaia per far scintille. "Perché non ci divertiamo questa sera?"
""Sì, vediamo chi di noi è più distinto!" suggerirono i fiammiferi.
""No, a me non piace parlare di me stessa!" disse la pentola di coccio. "Organizziamo invece una vera serata! Comincio io: vi racconto una storia che noi tutti abbiamo vissuto; così è facile immedesimarvisi, e poi è divertente. Presso i faggi danesi che si trovano lungo il Mar Baltico..."
""È un inizio bellissimo!" esclamarono tutti i piatti "sarà sicuramente una bella storia."
""Sì. Là trascorsi la mia giovinezza, presso una famiglia tranquilla. I mobili venivano lucidati, il pavimento veniva lavato e cambiavano le tendine ogni quindici giorni."
""Com'è interessante quello che raccontate!" disse il piumino per spolverare. "Si sente subito che è una signora quella che racconta! c'è un'aria così pulita nelle sue parole!"
""Sì, è vero!" disse il secchio dell'acqua, e saltellò di gioia così che l'acqua schizzò sul pavimento.
"E la pentola continuò a raccontare e la fine fu bella come l'inizio.
"Tutti i piatti tintinnavano per la gioia, il piumino prese del prezzemolo dal secchio di sabbia e incoronò la pentola, perché sapeva che avrebbe fatto rabbia agli altri, e "se io la incorono oggi" pensava "domani mi incoronerà lei."
""Adesso vogliamo ballare!" esclamarono le molle del camino e ballarono. Dio mio! come sollevavano le gambe! La vecchia fodera della sedia nell'angolo rideva a crepapelle nel vederle! "Possiamo essere incoronate anche noi?" chiesero le molle e lo furono.
""Non è altro che popolino!" pensavano i fiammiferi.
"Adesso doveva cantare la teiera, ma era raffreddata, o almeno così disse, non poteva cantare se non bolliva, ma non era che mania di grandezza: voleva cantare solo quando si trovava a tavola con gli invitati.
"Vicino alla finestra c'era una vecchia penna d'oca, con cui la domestica scriveva; non aveva nulla di strano, eccetto che era stata immersa troppo nel calamaio, ma di questo era orgogliosa. "La teiera non vuole cantare?" esclamò "non fa niente, qui fuori c'è una gabbia con un usignolo, che sa cantare; lei invece non ha mai imparato, ma non parliamo male di lei questa sera!"
""Io penso che sia molto sconveniente" disse il bollitore, che era il cantante della cucina e il fratellastro della teiera "dover sentire un uccello estraneo. Vi pare patriottico? Lasciamo giudicare dalla borsa della spesa."
""Sono proprio arrabbiata!" disse la borsa "così arrabbiata che non potete immaginare! è forse un bel modo di trascorrere la serata? non è meglio mettere un po' in ordine la casa? Ognuno dovrebbe tornare al suo posto e io dirigerei il tutto sarebbe diverso!"
""Sì, facciamo un po' di ordine!" dissero tutti. In quel mentre si aprì la porta. Era la domestica, e tutti rimasero quieti, nessuno fiatò; ma non c'era una sola pentola che non fosse conscia di quello che avrebbe potuto fare e non se ne sentisse orgogliosa. "Sì, se avessi voluto" pensavano "sarebbe stata una serata divertente!"
"La domestica prese i fiammiferi e accese il fuoco. Dio mio! come crepitavano e che fiamma!
""Adesso ognuno può vedere che noi siamo i più importanti!" pensavano i fiammiferi "e che splendore, che luce abbiamo!" e già erano tutti consumati."
"Che bella storia" esclamò la regina "mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia."
"Certo!" aggiunse il re. "Sposerai nostra figlia lunedì." Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
"Anch'io devo fare qualcosa!" pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!
Tutti i turchi saltavano in aria a ogni scoppio e le pantofole gli arrivavano fino alle orecchie: un tale spettacolo non l'avevano mai visto prima. Adesso capivano che era proprio il dio dei turchi che doveva sposare la principessa.
Quando il figlio del commerciante ridiscese col suo baule nel bosco pensò: "Voglio andare in città a sentire che cosa dicono di me!," e era naturale che avesse voglia di farlo.
Quali cose raccontava la gente! ognuno di quelli a cui domandava l'aveva visto in modo differente, ma a tutti era parso straordinario.
"Io ho visto il dio dei turchi in persona!" raccontò uno. "Aveva occhi che splendevano come stelle e una barba come l'acqua spumeggiante!"
"Volava avvolto in un mantello di fuoco" diceva un altro.
"Bellissimi angioletti spuntavano dalle pieghe."
Sì, sentì dire delle cose bellissime e il giorno dopo doveva esserci il matrimonio.
Tornò nel bosco per infilarsi nel baule, ma dov'era finito? Il baule era tutto bruciato. Una scintilla dei fuochi artificiali vi era caduta sopra, aveva appiccato il fuoco, e ora il baule era diventato cenere. Lui non era più in grado di volare, non poteva più raggiungere la sua sposa.
Lei rimase tutto il giorno sul tetto a aspettare; sta aspettando ancora mentre lui gira per il mondo e racconta storie, che però non sono divertenti come quella che aveva raccontato sui fiammiferi.
Il figlio ereditò tutti i suoi soldi e visse spensierato, andava alle feste ogni notte, costruiva aquiloni con le banconote e lanciava monete d'oro sul lago per farle rimbalzare invece di usare le pietre, perché naturalmente i soldi saltavano meglio; alla fine non gli restarono che quattro scellini, non aveva vestiti al di fuori di un paio di pantofole e una vecchia vestaglia. Ai suoi amici non importò più nulla di lui, dato che non potevano più uscire insieme per le strade; solo uno di loro, che era buono, gli mandò un vecchio baule e gli disse: "Fai i bagagli!". Facile a dirsi! ma egli non aveva nulla con cui fare i bagagli, così si mise lui stesso nel baule.
Era un baule strano. Non appena si premeva la serratura, il baule si sollevava e volava; e infatti si mise a volare attraverso il camino in alto sopra le nuvole, sempre più lontano. Il fondo scricchiolava, e lui temeva che si rompesse, in quel caso avrebbe proprio fatto un bel volo! Il Signore ci protegga! e così arrivò nella terra dei turchi. Nascose il baule nel bosco sotto le foglie secche e se ne andò in città; lì lo poteva fare, perché in Turchia andavano in giro tutti, come lui, con la vestaglia e le pantofole. Così incontrò una balia con un bambinetto. "Ascolta, balia turca!" disse "che cos'è quel grande castello vicino alla città, che ha le finestre così alte?"
"Ci vive la figlia del re!" fu la risposta "è stato predetto che diventerà molto infelice a causa di un fidanzato, e per questo nessuno può andare da lei, se non ci sono anche il re e la regina."
"Grazie!" rispose il figlio del commerciante, e così se ne tornò nel bosco, si mise nel baule, volò sul tetto e poi entrò dalla finestra fino alla principessa.
La principessa era sdraiata sul divano e dormiva, era così graziosa che il figlio del commerciante dovette baciarla;;lei si svegliò e si spaventò molto, ma lui raccontò di essere il dio dei turchi e di essere sceso dall'aria fino a lei, e lei ne fu molto contenta.
Così sedettero uno vicino all'altra, lui le narrò fiabe sui suoi occhi: erano laghi bellissimi e scuri, e i pensieri vi nuotavano come sirene; e poi raccontò della fronte, che era una montagna di neve con meravigliose sale e quadri, e poi le narrò della cicogna che porta i cari bambini.
Erano delle storie bellissime! Allora le chiese di sposarlo e lei subito accettò.
"Ma dovete tornare qui sabato" aggiunse "quando ci saranno da me il re e la regina a prendere il tè. Saranno molto orgogliosi all'idea che io sposerò il dio dei turchi, ma dovete raccontare una bellissima storia, perché a loro piacciono tanto mia mamma vuole che siano classiche e morali, mio padre invece le preferisce divertenti, che facciano ridere."
"Sì, non porterò altro in dono alla sposa che una storia!" rispose il ragazzo, e poi si separarono, ma prima la principessa gli donò una sciabola intarsiata di monete d'oro, che gli fecero proprio comodo.
Volò via, acquistò una nuova vestaglia e sedette nel bosco, pensando a una storia; doveva essere pronta per sabato, e non era facile.
Alla fine la storia fu pronta, e era proprio sabato.
Il re e la regina e tutta la corte lo aspettavano bevendo il tè presso la principessa. Come venne ricevuto bene!
"Volete raccontarci una storia?" chiese la regina "ma che sia significativa e istruttiva!"
"Ma che faccia anche ridere!" aggiunse il re.
"Certamente" rispose lui, e cominciò a raccontare. Ascoltiamola anche noi adesso.
"C'era una volta un mazzetto di fiammiferi, che erano molto fieri di appartenere a una nobile famiglia, il loro albero di origine, il grande pino, di cui erano solo un piccolissimo rametto, era stato un antico e maestoso albero del bosco. Ora i fiammiferi si trovavano su una mensola tra un acciarino e una vecchia pentola di ferro, e per loro si misero a raccontare della loro infanzia. "Al tempo dei nostri anni più verdi," dicevano "ci trovavamo proprio su un albero verde! Ogni mattina e ogni sera avevamo del tè di diamanti, che era la rugiada, e durante il giorno avevamo i raggi del sole, quando il sole splendeva, e tutti gli uccellini ci raccontavano delle storie. Sapevamo di essere anche ricchi, perché gli altri alberi erano vestiti solo d'estate, mentre la nostra famiglia poteva permettersi vestiti verdi sia d'estate che d'inverno. Poi giunsero dei boscaioli che fecero una gran rivoluzione, e la nostra famiglia venne dispersa. Il tronco principale diventò un albero maestoso in una nave bellissima che poteva navigare intorno al mondo, se lo voleva, gli altri rami andarono in luoghi diversi, e noi abbiamo avuto l'incarico di accendere la luce per la gente vile; per questo noi, che siamo gente aristocratica, siamo arrivati fin qui in cucina."
""A me invece è capitato in un altro modo" disse la pentola di ferro vicino alla quale si trovavano i fiammiferi. "Da quando sono nata sono stata bollita e raschiata moltissime volte! Devo occuparmi di cose concrete e, a dire il vero, sono io la più importante della casa. La mia unica gioia è, dopo il pranzo, stare qui sulla mensola ben pulita a chiacchierare con i compagni; ma noi viviamo sempre in casa, a parte il secchio dell'acqua che ogni tanto è portato nel cortile. Il nostro unico informatore è la borsa della spesa, ma quella si agita sempre nel parlare del governo e del popolo; addirittura l'altro giorno c'era una vecchia pentola che per lo spavento è caduta e s'è rotta! Quella è una liberale, ve lo dico io!"
""Tu parli troppo" esclamò l'acciarino e batté sulla pietra focaia per far scintille. "Perché non ci divertiamo questa sera?"
""Sì, vediamo chi di noi è più distinto!" suggerirono i fiammiferi.
""No, a me non piace parlare di me stessa!" disse la pentola di coccio. "Organizziamo invece una vera serata! Comincio io: vi racconto una storia che noi tutti abbiamo vissuto; così è facile immedesimarvisi, e poi è divertente. Presso i faggi danesi che si trovano lungo il Mar Baltico..."
""È un inizio bellissimo!" esclamarono tutti i piatti "sarà sicuramente una bella storia."
""Sì. Là trascorsi la mia giovinezza, presso una famiglia tranquilla. I mobili venivano lucidati, il pavimento veniva lavato e cambiavano le tendine ogni quindici giorni."
""Com'è interessante quello che raccontate!" disse il piumino per spolverare. "Si sente subito che è una signora quella che racconta! c'è un'aria così pulita nelle sue parole!"
""Sì, è vero!" disse il secchio dell'acqua, e saltellò di gioia così che l'acqua schizzò sul pavimento.
"E la pentola continuò a raccontare e la fine fu bella come l'inizio.
"Tutti i piatti tintinnavano per la gioia, il piumino prese del prezzemolo dal secchio di sabbia e incoronò la pentola, perché sapeva che avrebbe fatto rabbia agli altri, e "se io la incorono oggi" pensava "domani mi incoronerà lei."
""Adesso vogliamo ballare!" esclamarono le molle del camino e ballarono. Dio mio! come sollevavano le gambe! La vecchia fodera della sedia nell'angolo rideva a crepapelle nel vederle! "Possiamo essere incoronate anche noi?" chiesero le molle e lo furono.
""Non è altro che popolino!" pensavano i fiammiferi.
"Adesso doveva cantare la teiera, ma era raffreddata, o almeno così disse, non poteva cantare se non bolliva, ma non era che mania di grandezza: voleva cantare solo quando si trovava a tavola con gli invitati.
"Vicino alla finestra c'era una vecchia penna d'oca, con cui la domestica scriveva; non aveva nulla di strano, eccetto che era stata immersa troppo nel calamaio, ma di questo era orgogliosa. "La teiera non vuole cantare?" esclamò "non fa niente, qui fuori c'è una gabbia con un usignolo, che sa cantare; lei invece non ha mai imparato, ma non parliamo male di lei questa sera!"
""Io penso che sia molto sconveniente" disse il bollitore, che era il cantante della cucina e il fratellastro della teiera "dover sentire un uccello estraneo. Vi pare patriottico? Lasciamo giudicare dalla borsa della spesa."
""Sono proprio arrabbiata!" disse la borsa "così arrabbiata che non potete immaginare! è forse un bel modo di trascorrere la serata? non è meglio mettere un po' in ordine la casa? Ognuno dovrebbe tornare al suo posto e io dirigerei il tutto sarebbe diverso!"
""Sì, facciamo un po' di ordine!" dissero tutti. In quel mentre si aprì la porta. Era la domestica, e tutti rimasero quieti, nessuno fiatò; ma non c'era una sola pentola che non fosse conscia di quello che avrebbe potuto fare e non se ne sentisse orgogliosa. "Sì, se avessi voluto" pensavano "sarebbe stata una serata divertente!"
"La domestica prese i fiammiferi e accese il fuoco. Dio mio! come crepitavano e che fiamma!
""Adesso ognuno può vedere che noi siamo i più importanti!" pensavano i fiammiferi "e che splendore, che luce abbiamo!" e già erano tutti consumati."
"Che bella storia" esclamò la regina "mi sono proprio sentita in cucina con i fiammiferi. Sì, tu avrai nostra figlia."
"Certo!" aggiunse il re. "Sposerai nostra figlia lunedì." Ormai gli dava del tu, dato che doveva far parte della famiglia.
Il matrimonio era stato fissato e la sera prima la città venne tutta illuminata: volavano in aria ciambelline e maritozzi; i monelli di strada si alzavano in punta di piedi per prenderle e urlavano Urrà! e fischiavano con le dita; era semplicemente meraviglioso!
"Anch'io devo fare qualcosa!" pensò il figlio del commerciante, e comprò dei razzi illuminanti, dei petardi e tutti i fuochi artificiali che si potessero immaginare, li mise nel baule e volò in alto.
Rutsch! come funzionavano bene! e che scoppi!
Tutti i turchi saltavano in aria a ogni scoppio e le pantofole gli arrivavano fino alle orecchie: un tale spettacolo non l'avevano mai visto prima. Adesso capivano che era proprio il dio dei turchi che doveva sposare la principessa.
Quando il figlio del commerciante ridiscese col suo baule nel bosco pensò: "Voglio andare in città a sentire che cosa dicono di me!," e era naturale che avesse voglia di farlo.
Quali cose raccontava la gente! ognuno di quelli a cui domandava l'aveva visto in modo differente, ma a tutti era parso straordinario.
"Io ho visto il dio dei turchi in persona!" raccontò uno. "Aveva occhi che splendevano come stelle e una barba come l'acqua spumeggiante!"
"Volava avvolto in un mantello di fuoco" diceva un altro.
"Bellissimi angioletti spuntavano dalle pieghe."
Sì, sentì dire delle cose bellissime e il giorno dopo doveva esserci il matrimonio.
Tornò nel bosco per infilarsi nel baule, ma dov'era finito? Il baule era tutto bruciato. Una scintilla dei fuochi artificiali vi era caduta sopra, aveva appiccato il fuoco, e ora il baule era diventato cenere. Lui non era più in grado di volare, non poteva più raggiungere la sua sposa.
Lei rimase tutto il giorno sul tetto a aspettare; sta aspettando ancora mentre lui gira per il mondo e racconta storie, che però non sono divertenti come quella che aveva raccontato sui fiammiferi.
Der var engang en købmand, han var så rig, at han kunne brolægge den hele gade og næsten et lille stræde til med sølvpenge; men det gjorde han ikke, han vidste anderledes at bruge sine penge, og gav han en skilling ud, fik han en daler igen; sådan en købmand var han - og så døde han.
Sønnen fik nu alle disse penge, og han levede lystigt, gik på maskerade hver nat, gjorde papirsdrager af rigsdaler-sedler og slog smut hen over søen med guldpenge, i stedet for med en sten, så kunne pengene sagtens gå, og det gjorde de; til sidst ejede han ikke mere end fire skilling, og havde ingen andre klæder end et par tøfler og en gammel slåbrok. Nu brød hans venner sig ikke længere om ham, da de jo ikke kunne gå på gaden sammen, men en af dem, som var god, sendte ham en gammel kuffert og sagde: "Pak ind!" ja, det var nu meget godt, men han havde ikke noget at pakke ind, så satte han sig selv i kufferten.
Det var en løjerlig kuffert. Så snart man trykkede på låsen, kunne kufferten flyve; det gjorde den, vips fløj den med ham op igennem skorstenen, højt op over skyerne, længere og længere bort; det knagede i bunden, og han var så forskrækket, for at den skulle gå i stykker, for så havde han gjort en ganske artig volte! Gudbevares! og så kom han til tyrkernes land. Kufferten skjulte han i skoven, under de visne blade og gik så ind til byen; det kunne han godt gøre, for hos tyrkerne gik jo alle ligesom han i slåbrok og tøfler. Så mødte han en amme med et lille barn. "Hør du tyrke-amme!" sagde han, "hvad er det for et stort slot her tæt ved byen, vinduerne sidder så højt!"
"Der bor kongens datter!" sagde hun, "der er spået hende, at hun skal blive så ulykkelig over en kæreste, og derfor må der ingen komme til hende, uden kongen og dronningen er med!"
"Tak!" sagde købmandssønnen, og så gik han ud i skoven, satte sig i sin kuffert, fløj op på taget og krøb ind af vinduet til prinsessen.
Hun lå i sofaen og sov; hun var så dejlig, at købmandssønnen måtte kysse hende; hun vågnede og blev ganske forskrækket, men han sagde, han var tyrkeguden, som var kommet ned igennem luften til hende, og det syntes hun godt om.
Så sad de ved siden af hinanden, og han fortalte historier om hendes øjne: De var de dejligste, mørke søer, og tankerne svømmede der som havfruer; og han fortalte om hendes pande: Den var et snebjerg med de prægtigste sale og billeder, og han fortalte om storken, som bringer de søde små børn.
Jo, det var nogle dejlige historier! så friede han til prinsessen, og hun sagde straks ja!
"Men De må komme her på lørdag," sagde hun, "da er kongen og dronningen hos mig til tevand! de vil være meget stolte af, at jeg får tyrkeguden, men se til, De kan et rigtigt dejligt eventyr, for det holder mine forældre særdeles meget af; min moder vil have det moralsk og fornemt og min fader lystigt, så man kan le!"
"Ja, jeg bringer ingen anden brudegave end et eventyr!" sagde han, og så skiltes de, men prinsessen gav ham en sabel, der var besat med guldpenge, og den kunne han især bruge.
Nu fløj han bort, købte sig en ny slåbrok og sad så ude i skoven og digtede på et eventyr, det skulle være færdigt til om lørdagen, og det er ikke så let endda.
Så var han færdig, og så var det lørdag.
Kongen, dronningen og hele hoffet ventede med tevand hos prinsessen. Han blev så nydeligt modtaget!
"Vil De så fortælle et eventyr!" sagde dronningen, "et, som er dybsindigt og belærende!"
"Men som man dog kan le af!" sagde kongen.
"Ja nok!" sagde han og fortalte: Det må man nu høre godt efter. "Der var engang et bundt svovlstikker, de var så overordentligt stolte på det, fordi de var af høj herkomst; deres stamtræ, det vil sige, det store fyrretræ, de hver var en lille pind af, havde været et stort gammelt træ i skoven. Svovlstikkerne lå nu på hylden mellem et fyrtøj og en gammel jerngryde, og for dem fortalte de om deres ungdom. 'Ja, da vi var på den grønne gren!' sagde de, 'da var vi rigtignok på en grøn gren! hver morgen og aften diamant-te, det var duggen, hele dagen havde vi solskin, når solen skinnede, og alle de små fugle måtte fortælle os historier. Vi kunne godt mærke, at vi også var rige, for løvtræerne de var kun klædt på om sommeren, men vor familie havde råd til grønne klæder både sommer og vinter. Men så kom brændehuggerne, det var den store revolution, og vor familie blev splittet ad; stamherren fik plads som stormast på et prægtigt skib, der kunne sejle verden rundt, dersom det ville, de andre grene kom andre steder, og vi har nu det hverv at tænde lyset for den nedrige mængde; derfor er vi fornemme folk kommet her i køknet.'
'Ja jeg har det nu på en anden måde!' sagde jerngryden, som svovlstikkerne lå ved siden af. 'Lige fra jeg kom ud i verden er jeg skuret og kogt mange gange! jeg sørger for det solide og er egentlig talt den første her i huset. Min eneste glæde er, sådan efter bordet, at ligge ren og pæn på hylden og føre en fornuftig passiar med kammeraterne; men når jeg undtager vandspanden, som engang imellem kommer ned i gården, så lever vi altid inden døre. Vort eneste nyhedsbud er torvekurven, men den snakker så uroligt om regeringen og folket; ja, forleden var der en gammel potte, som af forskrækkelse derover faldt ned og slog sig i stykker! den er frisksindet, skal jeg sige dem!' - 'Nu snakker du for meget!' sagde fyrtøjet, og stålet slog til flintestenen, så den gnistrede. 'Skulle vi nu ikke have en munter aften?'
'Ja lad os tale om, hvem der er mest fornemme!' sagde svovlstikkerne.
'Nej, jeg holder ikke af at tale om mig selv,' sagde lerpotten, 'lad os få en aftenunderholdning! jeg vil begynde, jeg skal fortælle sådant noget, enhver har oplevet; det kan man så rart sætte sig ind i, og det er så fornøjeligt: "Ved Østersøen ved de danske bøge!"'
'Det er en dejlig begyndelse!' sagde alle tallerknerne, 'det bliver bestemt en historie, jeg kan lide!'
'Ja, der tilbragte jeg min ungdom hos en stille familie; møblerne blev bonet, gulvet vasket, der kom rene gardiner hver fjortende dag!'
'Hvor De dog fortæller interessant!' sagde støvekosten.
'Man kan straks høre, at det er et fruentimmer, som fortæller; der går sådant noget renligt derigennem!'
'Ja det føler man!' sagde vandspanden, og så gjorde den af glæde et lille hop, så det sagde klask på gulvet.
Og potten blev ved at fortælle, og enden var lige så god som begyndelsen.
Alle tallerknerne de raslede af glæde, og støvekosten tog grøn persille af sandhullet og bekransede potten, for den vidste, det ville ærgre de andre, og: 'Bekranser jeg hende i dag,' tænkte han, 'så bekranser hun mig i morgen.'
'Nu vil jeg danse!' sagde ildklemmen, og dansede; ja, Gudbevares, hvor den kunne sætte det ene ben i vejret. Det gamle stolebetræk henne i krogen revnede ved at se på det! 'Må jeg så blive bekranset!' sagde ildklemmen, og det blev hun.
'Det er dog kun pøbel!' tænkte svovlstikkerne.
Nu skulle temaskinen synge, men den var forkølet, sagde den, den kunne ikke uden den var i kog; men det var af bar fornemhed, den ville ikke synge, uden når den stod på bordet inde hos herskabet.
Henne i vinduet sad en gammel pennefjer, som pigen plejede at skrive med; der var ikke noget mærkværdigt ved den, uden at den var dyppet alt for dybt i blækhuset, men deraf var nu den stor på det. 'Vil temaskinen ikke synge,' sagde den, 'så kan den lade være! udenfor hænger i et bur en nattergal, den kan synge, den har rigtignok ikke lært noget, men det vil vi ikke tale ondt om i aften!'
'Jeg finder det højst upassende,' sagde tekedlen, der var køkkensanger og halvsøster til temaskinen, 'at sådan en fremmed fugl skal høres! Er det patriotisk? Jeg vil lade torvekurven dømme!'
'Jeg ærgrer mig kun,' sagde torvekurven, 'jeg ærgrer mig så inderlig, som nogen kan tænke sig! er det en passende måde at tilbringe aftnen på, ville det ikke være rigtigere at sætte huset på den rette ende? Enhver skulle da komme på sin plads, og jeg ville styre hele kodillen. Det vil blive noget andet!'
'Ja lad os gøre spektakel!' sagde de alle sammen. I det samme gik døren op. Det var tjenestepigen, og så stod de stille, ingen sagde et muk; men der var ikke en potte, uden den jo nok vidste, hvad den kunne gøre, og hvor fornem den var; 'ja, når jeg havde villet,' tænkte de, 'så skulle det rigtignok være blevet en munter aften!'
Tjenestepigen tog svovlstikkerne, gjorde ild med dem - Gudbevares, hvor de spruttede og brændte i lue.
'Nu kan da enhver,' tænkte de, 'se at vi er de første! hvilken glans vi har! hvilket lys!' - og så var de brændt ud."
"Det var et dejligt eventyr!" sagde dronningen, "jeg følte mig så ganske i køknet hos svovlstikkerne, ja, nu skal du have vor datter."
"Ja vist!" sagde kongen, "du skal have vor datter på mandag!" for nu sagde de du til ham, da han skulle være af familien.
Brylluppet var nu bestemt, og aftnen forud blev hele byen illumineret; boller og kringler fløj i grams; gadedrengene stod på tæerne, råbte hurra og peb i fingrene; det var særdeles pragtfuldt.
"Ja, jeg får vel også se til at gøre noget!" tænkte købmandssønnen, og så købte han raketter, knaldperler og alt det fyrværkeri, der tænkes kunne, lagde det i sin kuffert, og fløj så med det op i luften.
Rutsj, hvor det gik! og hvor det futtede.
Alle tyrkerne hoppede i vejret ved det, så deres tøfler fløj dem om ørene; sådant et luftsyn havde de aldrig set før. Nu kunne de da forstå, at det var tyrkeguden selv, som skulle have prinsessen.
Så snart købmandssønnen igen med sin kuffert kom ned i skoven, tænkte han: "Jeg vil dog gå ind i byen, for at få at høre, hvorledes det har taget sig ud!" og det var jo ganske rimeligt, han havde lyst til det.
Nej, hvor dog folk fortalte! hver evige en, han spurgte derom, havde set det på sin måde, men dejligt havde det været for dem alle sammen.
"Jeg så tyrkeguden selv," sagde den ene, "han havde øjne, som skinnende stjerner og et skæg som skummende vande!"
"Han fløj i en ildkåbe," sagde den anden. "De dejligste englebørn tittede frem fra folderne!"
Jo, det var dejlige ting, han hørte, og dagen efter skulle han have bryllup.
Nu gik han tilbage til skoven, for at sætte sig i sin kuffert - men hvor var den? Kufferten var brændt op. En gnist fra fyrværkeriet var blevet tilbage, den havde tændt ild, og kufferten var i aske. Han kunne ikke mere flyve, ikke mere komme til sin brud.
Hun stod hele dagen på taget og ventede, hun venter endnu, men han går verden rundt og fortæller eventyr, men de er ikke mere så lystige, som det han fortalte om svovlstikkerne.